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Tribunale di Roma: rilevante precedente in tema di responsabilita’ del provider e di diritto di autore degli editori su Internet

Responsabilità Provider

di Elena Maggio Responsabilità providerCon un’ordinanza emessa il 16 dicembre 2009, nell’ambito del procedimento cautelare intrapreso dalla RTI nei confronti di Google e YouTube, la nona Sezione del Tribunale Civile di Roma ha ordinato, a questi ultimi, di rimuovere dalla Rete le sequenze di immagini, statiche o in movimento, estrapolate dalla trasmissione televisiva “Grande Fratello”, in onda su Canale 5, in ragione dei diritti della RTI all’esclusivo sfruttamento della stessa. Il Tribunale, interpretando le norme contenute nel d.lgs. n. 70 del 2003, che ha recepito la Direttiva europea sul commercio elettronico, ha ritenuto i due provider responsabili delle violazioni dei diritti della ricorrente in quanto, pur consapevoli “della presenza di materiale sospetto”, si siano astenuti “dall’accertarne la illiceità e dal rimuoverlo”. RTI aveva chiesto al Tribunale di emanare un provvedimento d’urgenza con il quale si intimasse alla piattaforma di sharing “la immediata rimozione dai propri server e la conseguente immediata disabilitazione all’accesso di tutti i contenuti riproducenti – in tutto o in parte – sequenze di immagini fisse o in movimento relative al programma ‘il grande fratello'”. Dovendosi, altresì, inibire il reiterarsi della violazione. Il Tribunale ha accolto entrambe le richieste formulate dalla RTI, peraltro, circostanziate con riferimento alla sola trasmissione televisiva, ma non riguardante espliciti riferimenti ai contenuti postati dagli utenti, riferendosi, la ricorrente, a tutte le immagini dell’edizione del reality show Grande Fratello in onda in questa stagione televisiva. RTI denunciava, nel ricorso, la violazione, da parte di Google e YouTube, dei diritti di proprietà intellettuale sul marchio e sul logo “Grande Fratello”, nonché dei diritti esclusivi di sfruttamento dei contenuti che spettano a Mediaset. Peraltro la RTI sottolineava come la posizione di Google non sia tutelata dal diritto di cronaca, a differenza di quanto è stato, invece, riconosciuto lo scorso marzo dal Tribunale di Milano in occasione della richiesta di rimozione, dal sito Corriere.it, di clip estratte dallo stesso programma televisivo di Mediaset. La difesa formulata da Google si è basata sulla presentazione del proprio ruolo come inerte fornitore di spazio web a favore degli utenti, contestando a RTI l’impossibilità di sottoporre a controllo tutti i contenuti postati dagli utenti. Google ha, inoltre, mostrato di essere dotata di una policy, che invita gli utenti alla responsabilizzazione, di aver messo a disposizione degli strumenti come Video ID che consente ai detentori dei diritti di evitare il perpetuarsi delle violazioni, ed eventualmente di proiettarsi in un modello di business che potrebbe portare loro dei frutti; meccanismi, quest’ultimi, modellati proprio sulla Direttiva europea sul commercio elettronico, recepita in Italia con il d.lgs. n. 70 del 2003. Il Tribunale ha però respinto le argomentazioni formulate da Google e YouTube. La condotta della piattaforma di sharing sarebbe, si sostiene nell’ordinanza, “così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti” che “non è sostenibile la tesi delle resistenti sulla presunta assoluta irresponsabilità dei provider che si limiterebbero a svolgere l’unica funzione di mettere a disposizione gli spazi web (…) e sulla legittimità di avere un ritorno economico – escludendo il fine commerciale – connesso al proprio servizio in mancanza di un obbligo di controllarne i contenuti illeciti e di disabilitarne l’accesso”. Google e YouTube, secondo quanto recita il provvedimento in commento, si preoccupano, infatti, di “organizzare la gestione dei contenuti video, anche a fini di pubblicità”; agendo, dunque, alla stregua di un editore, e come tale dovrebbero, quindi, agire anche in materia di responsabilità sui contenuti messi in Rete. Inoltre, aggiunge il giudice, proprio in ragione del fatto che Google dispone di regole che consentono la rimozione dei contenuti pedopornografici, che si sia dotato di una policy e si riservi comunque il diritto di “controllare i contenuti”, dovrebbe vigilare in maniera autonoma sulle violazioni del diritto d’autore. In questo senso, tuttavia, il giudice pare desumere da un policy scelta liberamente dal provider, un obbligo di fatto non sancito dalla normativa di settore, il già citato, d.lgs. n. 70 del 2003. L’ordinanza de qua, affermando, quindi, la responsabilità dei provider ed emanando un provvedimento inibitorio nei confronti degli stessi, costituisce una decisione in netta controtendenza rispetto a casi analoghi trattati dai tribunali di oltreoceano e da alcuni giudici europei. Nel caso che ha visto opposti Veoh e Universal per motivazioni analoghe, ad esempio, un tribunale californiano ha riconosciuto il ruolo di mero intermediario della piattaforma. Un tribunale francese nei confronti di Dailymotion ha statuito che un provider non è responsabile per i contenuti pubblicati dai propri utenti, ma viola la legge solo nel momento in cui, in seguito a circostanziate segnalazioni da parte del detentore dei diritti, decida di non procedere alla rimozione dei contenuti lesivi di tali diritti. L’ordinanza del tribunale di Roma si differenzia profondamente anche da un’altra ordinanza, emessa da un tribunale spagnolo, in un giudizio che ha visto quali parti avverse Telecinco/Mediaset e YouTube. In quel caso, il tribunale, pur avendo imposto alla piattaforma di sharing la cessazione immediata della diffusione online di contenuti protetti da diritto d’autore, ha stabilito che Telecinco dovesse segnalare con precisione i contenuti che YouTube avrebbe dovuto rimuovere. Con l’ordinanza emessa dalla nona Sezione del Tribunale di Roma il 16 dicembre del 2009, che costituisce un precedente quanto mai rilevante in materia di responsabilità del provider e di diritto degli editori su Internet, il giudice non ha, invece, chiesto a RTI di identificare e segnalare i contenuti ritenuti lesivi, imponendo a Google e YouTube di provvedere autonomamente a rintracciare i video che in contrasto con il dettato normativo, a rimuoverli, e ad assicurare che non si verifichino ulteriori violazioni per quanto attiene l’utilizzazione delle immagini di una intera trasmissione. Ciò, nonostante l’European Policy Counsel di Google, Marco Pancini, abbia affermato che Google non dispone degli strumenti che il tribunale vorrebbe attribuirgli. Contro l’ordinanza in commento e le sue motivazioni i due provider hanno proposto ricorso sul quale il Tribunale Civile di Roma si è pronunciato, con ordinanza di rigetto, lo scorso 12 febbraio c.a., confermando, quindi, con qualche chiarimento, quanto stabilito nel precedente provvedimento emesso il 16 dicembre 2009. La seconda e più recente ordinanza, intervenuta tra le medesime parti sembra, infatti, rafforzare ulteriormente il principio della tutela del diritto d’autore e della proprietà intellettuale con opportune puntualizzazioni rispetto a quanto sostenuto nel primo provvedimento ed esprimendo un principio che potrà essere applicato nei confronti di ogni sito web che violi i diritti altrui. In particolare, nella seconda ordinanza, il Tribunale di Roma ha, dapprima, inteso affermare la propria competenza, contestata dalle reclamanti, rilevando che “poiché l’illecito inteso come danno evento ha luogo in Italia nel momento in cui i filmati vengono visionati dall’utente italiano non appare condivisibile subordinare l’esercizio del potere inibitorio all’esistenza di una struttura in Italia, posto che presupposto dell’ordine di inibitoria non è un’organizzazione più o meno stabile in territorio italiano ma solo l’offerta in Italia ed a gli utenti italiani tramite la rete Internet di trasmissioni di cui RTI possiede la titolarità dei diritti in esclusiva”. Il provvedimento di rigetto, con specifico riferimento alla centrale questione della responsabilità del provider, già sostenuta dalla prima ordinanza, ha affermato che “la circostanza che YouTube e Google svolgano attività di Internet Service Provider cioè servizio di “hosting”, consistente nell’offrire ai propri utenti una piattaforma attraverso la quale conservare e rendere disponibili al pubblico contenuti audio e video e quindi memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”, circostanza sulla quale Google e YouTube avevano, come si è detto, incentrato la propria difesa ed, in seconda battuta, lo stesso ricorso avverso la pronuncia inibitoria del Tribunale Civile di Roma, “non esclude l’illiceità della condotta lamentata”. I giudici, infatti, sostengono che la trasmissione via Internet del Grande Fratello lede sicuramente i diritti di utilizzazione e sfruttamento economico di RTI. Invero, pur senza voler affermare un obbligo di sorveglianza generale del provider rispetto al contenuto dei dati trasmessi, conformemente al disposto dell’art. 17 d.lgs. n. 70 del 2003 sul commercio elettronico che dispone che il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, non può sostenersi l’assoluta estraneità alla commissione dell’illecito da parte dei provider poiché Google e YouTube hanno continuato a trasmettere online la trasmissione televisiva Grande Fratello, provvedendo, come si è detto, ad organizzare la gestione dei contenuti video anche a fini pubblicitari, nonostante ripetute diffide ed azioni giudiziarie iniziate da RTI nei loro confronti. La responsabilità del provider, al quale non si richiede, dunque, un’attività preventiva di controllo e di accertamento di ciascun singolo frammento caricato dagli utenti, nasce proprio dalla mancata rimozione di materiale illecitamente trasmesso, dopo aver avuto conoscenza dall’avente diritto, a mezzo di diffide, della sua presenza in rete con conseguente denunciata lesione di diritti esclusivi. I giudici che hanno rigettato il reclamo proposto dal Google e YouTube hanno, inoltre, sostenuto che dalla protrazione del comportamento illecito siano conseguiti per RTI danni non risarcibili per equivalente consistenti, in particolare, in sviamento di clientela e riduzione dell’audience con conseguente danno all’immagine commerciale della stessa anche, e soprattutto, in relazione ad ulteriori violazioni future parimenti inibite dal provvedimento. La seconda pronuncia non si limita, infatti, a confermare quanto già ritenuto nell’ordinanza del 16 dicembre 2009 in tema di responsabilità dei provider e di provvedimenti inibitori, ma anche quanto disposto con riguardo all’obbligo per Google e YouTube di assicurarsi che non si verifichino ulteriori violazioni per quanto attiene all’utilizzazione delle immagini di una intera trasmissione televisiva. Un provvedimento inibitorio atto ad ordinare meramente la rimozione di quanto già diffuso e non di immagini eventualmente estratte da nuove puntate del programma sarebbe stato del tutto inutile, potendo in questo caso le reclamanti sostituire i video relativi a puntate già andate in onda con altri e reiterare così la violazione che si è inteso scongiurare. Entrambi i provvedimenti in commento, emessi dal Tribunale Civile di Roma, si pongono in controtendenza rispetto a decisioni, anche recentemente emesse, di giudici di altri Paesi risultando, invece, pienamente conformi all’orientamento della Cassazione che, recentemente intervenuta in tema di responsabilità del provider con la sentenza n. 49437 del 2009, ha statuito che “l’articolo 17 del d.lgs. 70/2003 esclude un generale obbligo di sorveglianza nel senso che il provider non è tenuto a verificare che i dati che trasmette concretino un’attività illecita, segnatamente in violazione del diritto d’autore, ma – congiuntamente all’obbligo di denunciare l’attività illecita, ove il prestatore del servizio ne sia comunque venuto a conoscenza, e di fornire le informazioni dirette all’identificazione dell’autore dell’attività illecita – contempla che l’autorità giudiziaria possa richiedere al prestatore di tali servizi di impedire l’accesso al contenuto illecito”. I recenti provvedimenti emessi dal Tribunale Civile di Roma in tema di responsabilità del provider e di diritto d’autore degli editori su Internet costituiranno, indubbiamente, un importante precedente giurisprudenziale con il quale occorrerà confrontarsi nella risoluzione di analoghe controversie. Scarica l’ordinanza del dicembre 2009 [pdf] Scarica la sentenza “Pirate Bay” della Cassazione, n. 49437 del 2009 [pdf]

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