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Resoconto del convegno “Facebook et similia (profili specifici dei social network)”

di Federico Mastrolilli

I giorni 30 settembre e 1 ottobre 2011 si è svolto presso l’Università di Pavia il XX incontro di diritto industriale organizzato dal Prof. Luigi Carlo Ubertazzi, i cui atti saranno pubblicati in Aida 2011. Il convegno ha avuto ad oggetto l’analisi giuridica del fenomeno dei social network. La prima sessione – rubricata “Organizzazione, mercati, imprese e concorrenza” – si è aperta con l’introduzione del Prof. Paolo Spada, presidente del panel, che ha individuato tre importanti punti di riflessione. I siti condivisi (o social network) rappresentano una comunità che, sebbene virtuale, reclama la protezione che l’art. 2 della Costituzione garantisce alle formazioni sociali. Pur non trattandosi di una formazione associativa ai sensi del diritto privato, non è tuttavia escluso che le relazioni che sorgono in virtù della condivisione dell’artefatto elettronico possano assumere rilevanza giuridica (in questo senso, anche in veste di formazioni associative). Infine, è stato segnalato che queste nuove realtà determinano una maggiore disintermediazione nelle relazioni economiche e favoriscono fenomeni di democrazia diretta. Il Prof. Juan Carlos De Martin, del Politecnico di Torino, auspicando una maggiore decentralizzazione della rete, ha ripercorso la storia delle differenti tipologie di reti sociali e ne ha spiegato l’attuale organizzazione in termini di modelli di business. In particolare, gli attuali social network sono delle piattaforme centralizzate e specializzate che offrono gratuitamente agli utenti una serie di applicazioni sociali, secondo le regole unilateralmente poste e modificate dai gestori del sito. In questa logica, gli utenti finiscono per assomigliare a “prodotti” che soffrono, tra le altre cose, un deficit di portabilità dei propri dati da una piattaforma all’altra. Il Prof. Luca Barbarito, dell’Università IULM di Milano, ha delineato le caratteristiche economiche del mercato dei social network. Si tratta di un mercato in cui le piattaforme, sia quelle generaliste che quelle specializzate, offrono servizi che consentono di creare relazioni sociali tra soggetti diversi. Mentre le prime si spartiscono il mercato in forma di duopoli, se non proprio di monopoli, le seconde approfittano di nicchie di consumatori, ma finiscono per scontare il problema della massa critica, vale a dire di riuscire ad essere profittevoli nel medio-lungo termine. In alcuni territori, inoltre, si registrano dei veri e propri monopoli geografici su base linguistica (è il caso, ad esempio, della Cina e della Russia). Dal punto di vista dei dati economici attualmente disponibili, è sorprendente riscontrare che la maggior parte degli operatori di questo settore (compreso Facebook) opera ancora in perdita o comunque genera bassi profitti. Ci troviamo ancora, pertanto, in una fase di raccolta di capitali. Il Prof. Pedro A. De Miguel Asensio, dell’Università Complutense di Madrid, ha affrontato i profili di diritto internazionale privato, e in particolare dei conflitti di legge, relativi ai social network. Permangono significative differenze tra la normativa europea e quella statunitense in materia di provider della società dell’informazione (gli ISP), segnatamente in relazione ai profili della protezione dei dati personali, dei diritti dei consumatori e del commercio elettronico. È stata quindi segnalata l’importanza, dalla prospettiva europea, che gli ISP, nella maggior parte dei casi entità di diritto americano, siano soggetti alla più stringente disciplina comunitaria ogniqualvolta forniscano il proprio servizio ai consumatori europei. Speciale attenzione deve essere prestata agli accordi di utilizzo dei social network accettati al momento dell’iscrizione dagli utenti, ai quali, in tutti i casi in cui operano per fini diversi da quelli professionali, dovrebbero applicarsi le norme speciali poste dai regolamenti Roma I e Bruxelles I a protezione dei consumatori. Criticità non ancora del tutto risolte dal legislatore si riscontrano inoltre in tema di responsabilità extra-contrattuale, avuto riguardo alla legge applicabile ai prestatori di servizi per violazione di diritti di proprietà intellettuale da parte di contenuti messi in rete dagli utenti. Il Prof. Giovanni Sartor, dell’Università di Bologna, ha riflettuto sull’opportunità di responsabilizzare gli intermediari della società dell’informazione nei confronti degli illeciti subiti dai terzi a causa dei contenuti caricati dagli utenti sulle proprie piattaforme. Premessi gli aspetti positivi che derivano dalla decentralizzazione della produzione dei contenuti propria del fenomeno delle reti sociali, che favoriscono democrazia e libertà informativa, ed enucleati gli interessi dei vari soggetti in gioco, è stato argomentato che una responsabilità oggettiva gravante sui provider per tutti i danni legati alla propria attività (d’impresa) avrebbe il vantaggio di identificare agevolmente (nella figura del provider stesso) il soggetto responsabile, incentivando altresì la previsione di un sistema di prevenzione degli illeciti. D’altro canto, è stato obiettato che, oltre ad essere tecnicamente difficile, un filtro generalizzato dei contenuti prodotti dagli utenti, traducendosi in una generalizzata rimozione o preclusione all’accesso, rischierebbe di vulnerare eccessivamente la libertà d’espressione degli internauti. Una possibile alternativa consiste nel prevedere una responsabilità dei provider per colpa, intesa come mancata predisposizione di misure capaci di prevenire la pubblicazione dei contenuti illeciti (la prova della quale spetterebbe ai titolari dei diritti). Tuttavia, è stato rilevato come non sia corretto parlare di colpa perché, al momento, manca un obbligo generale di controllo a carico dei provider. In conclusione, si propende per salvaguardare la neutralità dei gestori dei social network, anche quando operano a scopo di lucro, in quanto forniscono agli utenti gli spazi per sviluppare la propria libertà di espressione. Il Dott. Pierdanilo Beltrami, dell’Università della Calabria, ha relazionato sugli aspetti di diritto dell’impresa dei social network, con riferimento ai soggetti che utilizzano i servizi messi a disposizione da queste piattaforme con finalità imprenditoriali. Sotto il profilo soggettivo, devono considerarsi imprenditori anzitutto i gestori dei social network, nel momento in cui offrono il servizio sul mercato. Maggiore incertezza suscita l’ipotesi dell’utente che organizza un gruppo su Facebook per condividere un interesse, anche nel caso in cui questo interesse abbia natura economica. Al riguardo, è stata segnalata la recente sentenza del 7 luglio 2011 del Tribunale di Torino che ha ritenuto applicabile ad un gruppo su Facebook la disciplina della concorrenza sleale per utilizzo di  marchio altrui. Diversa è l’ipotesi dell’impresa che utilizza il social network a fini di marketing e pubblicità: in questo caso, la piattaforma online rappresenta solo un ulteriore strumento attraverso cui l’impresa svolge la propria attività economica. Alcuni dubbi sorgono in riferimento alla disciplina applicabile ai cd. soggetti virtuali, che “abitano” realtà parallele, come gli avatar di Second Life (tra cui si registrano anche società quotate in borse valori virtuali). A questo proposito, il Prof. Paolo Spada ha espresso le sue perplessità circa l’applicazione dello statuto dell’imprenditore a figure appartenenti a realtà simulate come Second Life. La prima sessione è stata conclusa dal Prof. Giuseppe Rossi, dell’Università IULM di Milano, che ha dedicato la propria relazione ai profili antitrust dei social network, partendo dal presupposto che i gestori delle piattaforme sono imprenditori e quindi le loro attività possono interessare la disciplina a tutela della concorrenza. Particolare attenzione deve essere prestata alla valutazione di possibili posizioni di potere di mercato acquisibili dai gestori nel mercato rilevante dei servizi erogati dai social network. A tal fine, occorre studiare la contendibilità di questo mercato, verificando la possibilità concessa agli utenti di lasciare la piattaforma cui sono iscritti e trasferire tutte le proprie informazioni su una diversa piattaforma (cd. portabilità dei dati). Tema attualmente molto conflittivo è quello dei rapporti tra i gestori dei social network e gli sviluppatori dei software (di solito applicazioni) che vengono utilizzati all’interno di questi siti. La conflittualità è testimoniata da un recente esposto depositato dagli sviluppatori di social gamesnei confronti di Facebook, che contestano un abuso di posizione dominante del gigante americano con riferimento ai beni virtuali venduti all’interno dei giochi di ruolo online (in particolare, Facebook non permetterebbe agli sviluppatori di software di vendere fuori da Facebook, a prezzi più bassi, i crediti per acquistare questi beni). La particolarità del mercato deisocial games, spia di possibili abusi antitrust, risiede nel fatto che, a differenza di ciò che normalmente avviene nel mercato offline, sono gli sviluppatori (i fornitori di contenuti) a pagare i social network per accedere alle loro basi di utenti. La seconda sessione – rubricata “Impresa e contratti” – è stata presieduta dal Prof. Luca Nivarra, dell’Università di Palermo. Partendo dalla citazione della sesta tesi su Feuerbach di Marx, è stato ricordato come i social network siano dei potenti strumenti di integrazione sociale, delle comunità nelle quali si sviluppa la personalità degli individui, e che pertanto il giurista ha il compito di tutelare i soggetti che fanno parte di queste comunità (vale a dire, gli utenti). È stato introdotto anche il tema della giuridicità del rapporto tra il social network e l’utente, riconducibile ad una relazione contrattuale o comunque da contatto sociale. Questo rapporto è caratterizzato dalla presenza di interessi sottostanti, di solito non suscettibili di valutazione economica, comunque meritevoli di tutela da parte dello Stato. È stato poi rimarcato il rischio di possibili abusi di posizione dominante (se non proprio di posizione di monopolio) dei gestori dei social network nei confronti degli sviluppatori dei software, ove i primi potrebbero essere incentivati a rinunciare ad innovare e a limitarsi a estrarre valore dal lavoro dei secondi, trasformando il profitto in rendita. Il Prof. Raffaele Caterina, dell’Università di Torino, calando la teoria generale del contratto alla realtà virtuale dei social network, ha compiuto una disamina del contenuto standard delle condizioni generali di contratto che normalmente vengono offerte agli utenti di questi siti (ad es., ambito di applicazione, lingua, condizioni economiche, capacità delle parti, legge applicabile e giurisdizione, durata). Criticità sono state rilevate con riferimento al diritto, che i social network si riservano, di modificare unilateralmente il contenuto del contratto, integrando i termini e le condizioni accettate dagli utenti al momento dell’iscrizione, anche senza previa notifica a questi ultimi. Analoghe perplessità suscita il diritto dei gestori di social network di sospendere il servizio, in qualsiasi momento, senza preavviso o giustificazione. Sono state poi condivise alcune riflessioni, e segnatamente che le condizioni di contratto si applicano solo agli utenti iscritti alla piattaforma; che si tratta normalmente di rapporti a titolo gratuito, a meno che non si voglia considerare come corrispettivo il trattamento dei dati personali; che gli utenti sono da qualificare come consumatori e quindi le clausole devono essere sottoposte al controllo di vessatorietà. Alla luce delle esposte peculiarità delle condizioni generali di contratto (titolo gratuito, facoltà di modificare il contenuto, libertà di recesso), il relatore ha ipotizzato che, nei casi in cui l’utente non è un consumatore, ma un professionista, le norme di utilizzo del social network non integrano un vero e proprio contratto, ma sono semplicemente uno strumento di rinuncia all’azione giudiziaria. Al riguardo, il Prof. Nivarra ha commentato che, al di là del contratto, gli obblighi di protezione in capo ai social network sorgerebbero comunque da contatto sociale. Il Prof. Francesco Astone, dell’Università di Foggia, ha affrontato il tema del rapporto verticale tra gestore e utente dei social network, che si instaura attraverso la presa visione di quest’ultimo delle condizioni generali contenute nei contratti standard di iscrizione alle piattaforme online. Si tratta di una disciplina contrattuale atipica, in cui mancano obbligazioni primarie reciproche, e in cui sono invece presenti obbligazioni senza prestazione che generano doveri di protezione, al di là delle clausole di esonero della responsabilità (che sono comuni in questo genere di testi contrattuali). Il reale contenuto del contratto tende ad avere ad oggetto il rischio dell’illecito, nel senso che il gestore del social network, tramite la presa visione da parte dell’utente delle condizioni generali, tende a esternalizzare il rischio di dover sostenere il costo degli eventuali illeciti commessi sulla propria piattaforma (ad esempio, in materia di violazione dei dati personali o di contraffazione). L’efficacia di questa disciplina contrattuale dell’illecito extra-contrattuale dipende dalla legge applicabile secondo i criteri di diritto internazionale privato, fatte salve le norme di ordine pubblico e quelle di applicazione necessaria a tutela dei consumatori. Si riafferma pertanto, anche nel corso della seconda sessione, la centralità del tema del carattere transnazionale di questi siti, che sorgono in un ordinamento ben definito ma sono originariamente destinati ad una circolazione virtuale e dunque globale. Quanto al diverso problema degli illeciti commessi dagli utenti mediante la piattaforma, il relatore ha richiamato la disciplina del contratto di rete, da cui deriverebbe la responsabilità del soggetto che ha creato la struttura anche per gli illeciti commessi dagli utenti verso altri utenti o verso terzi. Il Prof. Massimiliano Granieri, dell’Università di Foggia, si è occupato della disciplina consumeristica comunitaria applicabile ai rapporti contrattuali (atipici) tra social network e utente, come è noto predisposti – non senza inesattezze, anche linguistiche – dai gestori dei social network stessi. Il problema principale riguarda l’ambito di applicazione soggettiva di tale disciplina, non essendo sempre agevole comprendere quando l’utente dei social network possa essere qualificato consumatore (non lo è, ad esempio, il professionista che si iscrive sul sito Linkedin, o chi usa Facebook per fini imprenditoriali). Ulteriore complessità è data dal possibile impiego promiscuo del social network, in qualità di mero utente e allo stesso tempo per finalità collegate alla attività professionale. In una tale ipotesi di compresenza dell’attività privata e di quella professionale, occorre valutare quanto quest’ultima sia marginale rispetto all’utilizzo della piattaforma come utente/consumatore. Si è quindi concluso che, in linea di principio, l’uso promiscuo del social network esclude la tutela consumeristica. Il Prof. Enrico Camilleri, dell’Università di Palermo, ha analizzato i profili antitrust delle clausole contrattuali ricorrenti in materia di social network, con particolare riferimento ai rapporti aventi ad oggetto i social games. La premessa è che i social network in sé considerati non costituiscono un mercato rilevante, ma, in veste di intermediari remunerati, mettono a disposizione le proprie piattaforme per il loro utilizzo imprenditoriale su altri mercati. Ne è un esempio paradigmatico il mercato dei giochi sui social network, che ha raggiunto un giro d’affari di 600 milioni di euro. In particolare, Facebook pone in essere dei comportamenti nei confronti degli sviluppatori (ad es., divieto di accettare moneta reale ma solo cd. Facebook credit, divieto di vendere i beni virtuali fuori dal sito del social network, diritto di Facebook di regalare pacchetti di crediti in cambio di pubblicità, tassi di commissione sulle transazioni pari ad oltre il 30%) che rischiano di integrare ipotesi di abuso di posizione dominante. Negli Stati Uniti si propone una lettura evolutiva, meno stringente, della disciplina antitrust applicabile alla realtà virtuale, ma è stato ricordato che occorre prestare attenzione a non stravolgere completamente il senso di questa disciplina e a tenere sempre conto delle indicazioni comunitarie. Nello specifico, non convince l’obiezione per cui, secondo l’interpretazione statunitense, al maggior prezzo sopportato dagli sviluppatori si accompagnerebbero aspetti positivi per i consumatori. Non è escluso, infatti, che, nel medio termine, la barriera all’entrata del mercato determini un danno potenziale ai consumatori in termini di risalita dei prezzi. Il rischio è quindi quello che di innestare una dinamica per cui più aumenta la massa critica di Facebook più viene drenato il terreno dei concorrenti. Al riguardo, il presidente del panel ha chiosato che le ragioni americane a difesa delle posizioni dominanti dei social network sono sempre più impalpabili, e che ci troviamo ormai nel campo della pura rendita. Il Prof. Filippo Donati, dell’Università di Firenze, ha valutato le clausole contrattuali dei social network sotto il profilo dei diritti dell’uomo, ricordando come Internet, per sua natura, debba supportare la libertà di espressione e di informazione, rappresentando uno strumento essenziale per l’esercizio di queste libertà da parte degli utenti. Il ruolo che viene svolto dagli intermediari è quindi cruciale e pone una serie di dubbi in tutti quei casi in cui i social network sono tecnicamente in grado di condizionare l’esercizio di queste libertà. Si è fatto riferimento al problema della compatibilità con i diritti di natura costituzionale (in particolare con la libertà di informazione “elettronica”) delle clausole che prevedono il potere dei social network di rimuovere unilateralmente i contenuti caricati dagli utenti o di sospendere o addirittura revocare il servizio, laddove non siano previste una serie di tutele a favore degli utenti (riserva di legge, rispetto dei principi di necessità e proporzionalità, procedura che garantisca il contraddittorio, etc.). In materia di tutela dei diritti fondamentali degli utenti e responsabilità degli intermediari su Internet, il principio fondamentale è che questi ultimi rispondono degli illeciti commessi sulla propria piattaforma solo quando sono a conoscenza dell’esistenza di contenuti illeciti caricati dagli utenti, normalmente in seguito alla richiesta di rimozione degli stessi (che segue l’espletamento delle procedure di notice and take down normalmente predisposte dagli operatori) da parte dei titolari dei diritti lesi. Esiste però la possibilità di commettere degli abusi dei diritti degli utenti nel momento in cui la valutazione dell’illiceità del contributo caricato sul social network viene rimessa esclusivamente ai gestori, i quali potrebbero non disporre della necessaria competenza tecnica ovvero, nel dubbio, potrebbero essere incentivati a censurare i contenuti sospetti per non incorrere in eventuali responsabilità nei confronti dei titolari dei diritti. Sarebbe opportuno che nell’ambito di queste procedure venisse assicurato il rispetto di almeno due garanzie, vale a dire la riserva di legge e il contraddittorio, che peraltro non appaiono attualmente garantite dallo schema di regolamento posto in consultazione dall’AGCOM. In conclusione, ha affermato il relatore che le clausole di attribuzione di un potere censorio ai gestori dei social network sono lecite solo in presenza di un procedimento trasparente che garantisca il contraddittorio, mentre sono sempre illecite le clausole che permettono al gestore di disattivare tout court il servizio nei confronti dell’utente. Il Dott. Stefano A. Cerrato, dell’Università di Torino, ha esaminato l’eterogeneo sottobosco delle relazioni che si instaurano tra gli utenti dei social network, le quali, peraltro, il più delle volte si esauriscono in meri rapporti di cortesia. Ad esempio, la concessione dell’amicizia su Facebook ha una valenza abdicativa della riservatezza, ma non ha rilevanza contrattuale, salvo il caso in cui la richiesta di amicizia è preordinata a offrire o ottenere una prestazione giuridicamente rilevante. Diversamente, quando l’utente è un imprenditore che utilizza il social network per fini estranei alla propria sfera personale il rapporto con gli altri utenti assume una maggiore valenza economica, perlomeno potenziale, ad esempio in termini di strumento di pubblicità. In questo senso si è espresso il Tribunale di Torino con la già citata sentenza del 7 luglio 2011, rilevando che il gruppo dell’impresa su Facebook non è un mero fatto sociale, ma costituisce un elenco di clienti economicamente valutabile, la cui sottrazione può costituire un’ipotesi di concorrenza sleale. È stato poi fatto accenno al fenomeno dell’economia parallela realizzata dai social network, grazie alla moneta virtuale che consente di acquistare beni e servizi virtuali. È stato precisato che i social games non sono beni e che, quindi, non diventano oggetto di contratti di compravendita, integrando invece la fattispecie di licenza d’uso di software. L’ultimo punto analizzato riguarda la creazione sui social network di associazioni che non preesistono nel mondo reale: in assenza di un regolamento ad hoc occorre valutare se esiste almeno un elemento minimo organizzativo. In conclusione, è stato sottolineato il livello ancora insoddisfacente degli attuali regolamenti contrattuali predisposti dai siti di social network, i cui gestori sembrano propendere per l’auto-regolamentazione degli utenti, in attesa di possibili interventi futuri del legislatore. L’intervento conclusivo della sessione ad opera del Dott. Walter Virga, dell’Università di Palermo, ha avuto ad oggetto il tema dell’inadempimento contrattuale e delle sanzioni private in materia di social network. Si tratta di un argomento poco studiato a causa della normale gratuità dei rapporti contrattuali che regolano queste realtà virtuali, che rende quindi difficile l’individuazione dei danni risarcibili. Questi contratti gratuiti di prestazione di servizi richiedono, come condizione del loro perfezionamento, l’adesione dell’utente alle condizioni generali d’uso, senza che sorga alcun obbligo a carico del gestore, il quale, anzi, esplicitamente dichiara di non rispondere per eventuali danni patrimoniali sofferti dall’utente in connessione all’utilizzazione del servizio. Al contrario, le condizioni generali predisposte dal gestore prevedono sia una serie di obblighi e divieti (in tema, ad esempio, di accesso e utilizzazione dei servizi), normalmente di origine consuetudinaria (cd. netiquette), cui l’utente deve sottostare, sia le sanzioni private negoziali, di natura endoassociativa, che discendono dalla violazione di tali regole, colpendo alle volte anche inadempimenti contrattuali del tutto inoffensivi (quando la violazione ha ad oggetto più che altro delle regole di organizzazione, come quelle previste in tema di età). La terza e ultima sessione – rubricata “IP e concorrenza” – è stata presieduta dall’organizzatore del convegno, il Prof. Luigi Carlo Ubertazzi, che, tra le altre cose, ha ricordato la grande crescita di visibilità e attenzione che il diritto d’autore ha conosciuto negli ultimi venti anni. L’intervento del Dott. Domenico Giordano, dell’Università di Teramo, ha riguardato la tutela della grafica dei social network, con riferimento sia all’interfaccia grafica che appare all’utente che si collega al sito web, sia al software sottostante. Si tratta di interfacce grafiche cd. look and fill, in cui convivono elementi funzionali, obbligati dalla specifica funzione del sito web, e elementi estetici rimessi alla volontà del gestore. Per poter valutare la creatività delle interfacce grafiche ed eventualmente tutelarle ai sensi del diritto d’autore occorre quindi filtrare previamente gli aspetti tecnico-funzionali e verificare in seguito il livello di creatività degli aspetti rimanenti. I risultati di questo test soffrono tuttavia dell’incertezza collegata al diverso standard di creatività che viene richiesto in ogni paese. Ancora meno convincente appare l’ipotesi di apprestare tutela alle interfacce grafiche ai sensi della disciplina della concorrenza sleale, perché in seguito ad una valutazione complessiva di confusorietà si tutelerebbe solo l’insieme e non le singole parti dell’interfaccia. Una via alternativa di tutela, in grado di dare maggiore certezza agli operatori, passa attraverso la disciplina del design, se non fosse che la legge esclude espressamente i software dall’ambito di protezione della normativa sul disegno industriale. Tuttavia, potrebbe obiettarsi che non c’è differenza tra l’interfaccia grafica di un social network e lo stampato di un tessuto: quella del web è infatti una realtà virtuale, ma non effimera. Il Dott. Giulio Sironi, dell’Università di Parma, ha affrontato la questione dell’utilizzo dei segni distintivi sui social network. È stato anzitutto evidenziato, con riferimento ai segni distintivi deisocial network, che l’interfaccia grafica dotata di sufficiente capacità distintiva (anche persecondary meaning) potrebbe astrattamente svolgere funzioni di marchio, senza che la protezione si estenda agli elementi funzionali. Quanto ai segni distintivi altrui, si registrano forme variegate di utilizzo sui social network, che il più delle volte pongono seri problemi di contraffazione. Al riguardo occorre verificare se vi è in concreto un uso non autorizzato del marchio nell’attività economica (inteso come contatto qualificato, non essendo sufficiente la mera visibilità del sito Internet), tale da ledere le funzioni protette del marchio così come riconosciute dalla giurisprudenza comunitaria (non solo l’origine del prodotto o del servizio, ma anche la funzione pubblicitaria e quella di investimento). La responsabilità del social network per episodi di contraffazione del marchio dovuti all’attività dell’utente è un tema complesso che è risolto in Europa soprattutto in termini di diligenza del gestore della piattaforma (il riferimento è alla Direttiva sul commercio elettronico), mentre negli Stati Uniti tramite l’applicazione del principio del contributory infringement. Il Prof. Marco Ricolfi, dell’Università di Torino, ha dedicato la propria relazione al tema delle utilizzazioni libere dei diritti di proprietà intellettuale sui social network, quando esse sono realizzate da utenti senza fini imprenditoriali (cd. user-generated content), mediante elaborazioni di contenuti già pubblicati online o offline dai legittimi titolari. È stata evidenziata l’importanza di realizzare un bilanciamento tra gli interessi sottostanti dei titolari dei diritti e dei creatori in via derivata, senza dimenticare che esiste anche un interesse pubblico alla creazione di spazi di libertà d’espressione, oltre che allo sviluppo di forme di educazione e apprendimento innovative basate sull’audiovisivo. È stato inoltre analizzato il ruolo dei nuovi intermediari della rete, in primis i gestori di social network, i quali utilizzano i contenuti (altrui) per aumentare l’appetibilità della propria piattaforma, ma che in fondo sono indifferenti alla natura e al tipo di questi contenuti (ad esempio Amazon). Con riferimento alla disciplina del diritto d’autore, è stato rilevato che in via normativa non sono previste espressamente eccezioni o limitazioni che autorizzino queste libere utilizzazioni da parte degli utenti (ad es. usi trasformativi non commerciali), a differenza delle nuove licenze Creative Commons che consentono l’elaborazione di carattere creativo in ambiente digitale di opere preesistenti. Il Dott. Alessandro Cogo, dell’Università di Torino, dopo aver dato una definizione restrittiva del gestore del social network (colui che lo predispone e ne ha la responsabilità, relazionandosi con gli utenti), ha analizzato la disciplina in materia di utilizzo della proprietà intellettuale contenuta nel contratto tra gestore del social network e utente. La prima questione riguarda la necessità o meno per il gestore di ottenere una licenza di sfruttamento dei contenuti caricati dagli utenti, considerando che – secondo la giurisprudenza comunitaria, che prende come riferimento il concetto di “pubblico rilevante” – essi sono oggetto di un’attività di comunicazione al pubblico. La licenza non appare necessaria per le attività di uploading e sharing dei contenuti, che sono imputabili esclusivamente all’utente, mentre l’autorizzazione è richiesta nel caso del feeding, vale a dire quando i contenuti sono selezionati e successivamente inviati agli utenti dal social network. Dal punto di vista del diritto d’autore, questa licenza potrebbe tuttavia considerarsi implicita con l’accettazione da parte dell’utente delle condizioni di utilizzazione del servizio, poiché serve a permettere al social network di svolgere le proprie prestazioni. In caso, potrebbe pensarsi ad un suo controbilanciamento mediante il meccanismo dell’equa remunerazione, laddove non si debba direttamente ricorrere alla disciplina consumeristica, come è successo in Germania. Il Prof. Massimo Cartella, dell’Università di Milano Bicocca, ha esaminato il contenuto dei contratti tra gestori di social network e fornitori di contenuti (o content provider), riscontrando una grande difficoltà di reperirli (a differenza dei contratti con gli utenti, liberamente consultabili sui siti dei social network). Non è risultato agevole definire la figura del content provider, che potrebbe essere sia un operatore professionale – pubblico o privato – dell’industria culturale, sia un mero utente (user-generated-content). Anche i contenuti caricati sulle piattaforme sono eterogenei, potendosi trattare di opere intellettuali ovvero di servizi di natura diversa (informazioni personali, meta-dati, applicazioni, etc.). Alcune volte i contenuti vengono concessi a titolo gratuito, altre volte a titolo oneroso, laddove nel concetto di corrispettivo può anche rientrare la pubblicità. Problemi possono sorgere a causa della estensione geografica della licenza, con riferimento alla legge applicabile territorialmente. Il Dott. Andrea Ottolia, dell’Università di Genova, ha studiato la questione della privacy sui social network, con riferimento sia ai trattamenti “verticali” dei dati degli utenti ad opera del gestore, sia all’uso “orizzontale” dei dati tra gli utenti stessi. Quanto al primo aspetto, i dati che l’utente comunica espressamente al gestore al momento dell’iscrizione al sito sono coperti dal consenso, al contrario di quelli fuoriusciti da comunicazioni tra utenti (ad es. le manifestazioni di preferenza I like su Facebook) che il gestore raccoglie e tratta senza il consenso dell’utente e quindi, almeno secondo la disciplina europea, illegittimamente. Quanto ai rapporti orizzontali, è stato premesso che attraverso l’utilizzo dei servizi offerti dai social network gli utenti diventano soggetti attivi, quasi a loro volta dei gestori, fornendo contenuti sotto forma di informazioni personali destinate allo scambio. Si tratta pertanto di capire se gli utenti diventano responsabili del trattamento dei dati personali degli altri utenti con cui hanno relazioni sul social network. Al riguardo, ragioni di opportunità dirette a permettere un uso più agevole del social network, oltre che a realizzare un corretto bilanciamento tra libertà d’espressione e diritto di privacy, favoriscono una interpretazione estensiva dell’eccezione domestica in tema di privacy, per cui il singolo utente diviene responsabile del trattamento dei dati altrui sono nei casi limite in cui utilizza tali dati a fini associativi o imprenditoriali. Il rischio da tenere sempre in considerazione, tuttavia, è quello di una resa del modello europeo di fronte alle minori preoccupazioni del sistema nordamericano, per cui l’iscrizione ad un social network determina una diminuzione della protezione per l’utente in materia di privacy rispetto alla realtà offline. Il Prof. Jan Nordemann, della Humboldt Universität di Berlino, ha relazionato sugli ultimi sviluppi giurisprudenziali in tema di responsabilità dei gestori di social network per i contenuti prodotti e caricati dagli utenti sulle piattaforme. In primo luogo è stata richiamata la nota decisione L’Oreal vs. EBay, dove è stato stabilito che gli intermediari, per godere delle esclusioni di responsabilità previste dalla normativa sul commercio elettronico, non devono svolgere un ruolo attivo nella presentazione delle informazioni caricate dagli utenti e devono cooperare con diligenza con i titolari dei diritti di proprietà intellettuale ogniqualvolta venga segnalata una violazione di tali diritti. Al riguardo, è stato ricordato che la sentenza della Corte di Amburgo del 3 settembre 2010 ha ritenuto Youtube direttamente responsabile per la violazione del diritto d’autore realizzata dai video caricati dagli utenti, dal momento che questa piattaforma non si limita ad ospitare contenuti altrui, ma, intorno a questi, realizza una serie di attività collaterali, anche di carattere lucrativo. Sotto altro profilo, è stato ricordato che, a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei gestori dei social network, la giurisprudenza ammette la possibilità per i titolari dei diritti di richiedere dei provvedimenti inibitori (cd. injunctions claims) nei confronti degli intermediari, al fine di prevenire ulteriori violazioni future dello stesso tipo di quelle accertate. Pertanto si sta forse andando oltre un sistema repressivo della contraffazione basato sul solo procedimento del notice and take down, verso un sistema di filtri in grado anche di prevenire le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. Il Dott. Roberto Flor, dell’Università di Verona, ha concluso la terza sessione – e il convegno – trattando il tema della responsabilità penale dei gestori di social network per le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, anche per fatti commessi dagli utenti. Dopo aver premesso il difetto di armonizzazione del diritto penale in questo settore (con le relative differenze da paese a paese quanto alla condotto tipica punita, al dolo richiesto, etc.), è stato ricordato che in Europa non si rinvengono fattispecie penali specificamente dirette ai social network. È comunque sanzionata, a vario titolo, la circolazione abusiva di opere dell’ingegno che avvenga per fatto proprio o per concorso di colpa del gestore. Diversamente, non esiste un obbligo di controllo posto in capo agli intermediari, sotto forma di reati omissivi, diretto ad impedire i reati che possono essere commessi sulla piattaforma dagli utenti, anche per i problemi di monitoraggio e le perplessità di natura costituzionale che un sistema del genere determinerebbe. Le prospettive auspicabili sono quelle di un minore ricorso all’intervento penalistico, ridotto ai soli casi di stretta necessità, e della concessione di un più ampio spazio a strumenti di cooperazione e auto-regolamentazione, più adattabili all’evoluzione tecnologica e alle finalità di Internet.
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