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Auditel: l’astinenza da share è finita, ma attenzione all’indigestione

di Gianfrancesco Rizzuti [*] I nostri schermi tv si sono tinti di giallo nelle scorse settimane. Ma forse non ce ne siamo accorti. Di che si è trattato? Come diversi lettori sanno, il successo dei programmi offerti dalle emittenti televisive in Italia –  e dunque la ripartizione degli investimenti pubblicitari in TV – si basa sulla misurazione degli ascolti. In Italia esiste Auditel, un organismo chiamato ad operare con trasparenza e affidabilità. Si tratta di un soggetto a controllo incrociato che riunisce le componenti del mercato televisivo e in particolare gli investitori di pubblicità, le agenzie, i centri media e le imprese televisive pubbliche, private, nazionali e locali. Auditel ha costruito un campione rappresentativo della popolazione italiana, un panel ad oggi di circa 5500 famiglie che costituisce una fotografia statistica dell’intera popolazione con le sue caratteristiche geografiche, demografiche e socioculturali. Un apparecchio elettronico, il meter, rileva automaticamente, minuto per minuto, l’ascolto di tutti i canali di qualunque televisore che sia in funzione nell’abitazione delle famiglie campione. Da questa rilevazione dell’audience – che viene quotidianamente comunicata e scomposta per singole emittenti, palinsesti e fasce orarie – derivano successi e insuccessi dei diversi programmi, e quanto essi sono di conseguenza in grado di attrarre pubblicità dagli investitori e dunque risorse economiche. Arriviamo al giallo. È successo che diversi giorni fa – lo hanno riportato diversi quotidiani – per l’errore di un tecnico della società che gestisce le rilevazioni per conto di Auditel sarebbero state trasmesse email a famiglie con gli indirizzi in chiaro dei componenti il panel. Cosa non da poco, come i lettori immaginano, perché l’anonimato dei componenti il campione (chissà, magari qualcuno di noi ne fa parte…) è la condizione indispensabile per l’affidabilità della rilevazione. E infatti la pubblicazione dei dati di ascolto è stata sospesa per più di 10 giorni. Ora che i dati sono tornati ad essere pubblic(abil)i, vale la pena fare qualche riflessione in questa rubrica:

  1. Al di là della singola questione, sono finite sotto i riflettori metodologia e sicurezza di rilevazione, raccolta e trasmissione dei dati;
  2. Sciogliere in modo convincente e “definito” questi dubbi non sarà semplice né economico, ma da questo dipende l’allocazione di risorse pari oggi a quasi il 60% degli investimenti pubblicitari in Italia. La Tv, insomma, continua a farla da padrona, sulla capacità di attrarre pubblicità nonostante la crescita dell’online;
  3. Ritorna incandescente la questione “qualità” della programmazione, in particolare per il cosiddetto “servizio pubblico”. Seguendo le dichiarazioni recenti del Ministro Franceschini, può un indicatore quantitativo, lo share, essere il metro di giudizio per esempio di un TG?
  4. Occorrerà affinare ed integrare lo share con indicatori di qualità? E chi definirebbe quest’ultima?

  Insomma, le domande e le questioni sollevate dal caso in questione sono tante. Risposte e soluzioni sono opportune e necessarie. Nel frattempo intere redazioni, conduttori, showmen, investitori ed agenzie pubblicitarie, se anche non avranno (forse) ricevuto i dati in questi 11 giorni, ricominciano ad aspettare ansiosi i numeri sfornati dall’Auditel ogni mattina. L’astinenza è finita, ma attenzione – noi con loro – a non fare indigestione. [*] Questo intervento è inserito in “Occhio di riguardo: la comunicazione tra tecnologia, mercato e diritto”, rubrica affidata a Gianfrancesco Rizzuti, docente di Relazioni Pubbliche Economiche e Finanziarie all’Università Europea di Roma, con la collaborazione, tra gli altri, di Marco Ciaffone.

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